Filosofia ETID – Il manifesto

In quest’epoca storica di trasformazioni sempre più rapide e accelerate e di saperi sempre più specializzati e di dettaglio, l’acquisizione di un sapere utile ad una visione d’insieme risulta fondamentale per ritrovare un più solido orientamento.

Questo manifesto risponde a quest’esigenza innestandosi in una strada antica che è quella della filosofia che molti frutti ha dato e che molti frutti potrà ancora dare. Del resto il percorso della filosofia non potrà mai finire perché sarà sempre il percorso di tutti gli uomini e di tutti gli esseri consapevoli che vorranno orientarsi nei mondi in cui via via si troveranno a vivere.  “Ma la filosofia nei secoli è stata tante cose diverse”, si dirà, ed è vero, e tuttavia in questa molteplicità si possono riscontrare caratteristiche comuni che fanno della filosofia la forma di sapere più adatta allo scopo di una visione d’insieme e ad un migliore orientamento.

Soffermiamoci su alcune di queste caratteristiche:

  • Il nome

Già il nome“filosofia”, che significa amore del sapere, è particolarmente appropriato per una ricerca che voglia essere attenta, aperta, sensibile alle esigenze del suo oggetto, così come i veri amanti sono in grado d’essere. Il nome rimanda ad una disposizione verso il sapere che sappia porre al centro il sapere stesso e che non si faccia fuorviare da utilità o scopi troppo riduttivi o superficiali. Un sapere riguardante il mondo che ci circonda ma anche noi stessi e che quindi ci aiuti a cogliere ciò che per noi è più importante quand’anche non fosse il più appariscente.

  • L’attitudine

L’attitudine della filosofia alla continua rimessa in discussione dei fondamenti e degli esiti delle argomentazioni e dei saperi acquisiti alimenta potenzialmente la capacità di apertura e ascolto e va nella direzione di garantire al sapere la sua continua attualizzazione e il suo saper rispondere a sempre nuove sollecitazioni. Consente inoltre di rinnovare la consapevolezza di eventuali punti saldi e stabili, trovati di nuovo come tali dopo la messa in discussione.

  • La capacità di raccordo

La filosofia ha la potenziale capacità di creare ponti tra i saperi e di consentire quindi una maggiore armonizzazione tra saperi d’insieme e saperi di dettaglio.

  • Tensione verso una verità pubblica e condivisa.

Sin dalla sua origine la filosofia si è caratterizzata per l’attitudine alla ricerca di verità in ogni ambito dell’esperienza, senza preclusioni o vincoli presupposti, verità che potessero essere argomentate e pubblicamente condivise. Ha svolto quindi una funzione di carattere sociale che, non a caso, ha potuto inizialmente svilupparsi in concomitanza con lo stabilirsi dei primi regimi democratici.

Queste sono alcune delle caratteristiche che fanno della filosofia, che sia degna di questo nome, una risorsa imprescindibile.

Ma accanto a queste caratteristiche è importante  sottolinearne un’altra, non così scontata, vale a dire il risvolto pratico della filosofia.

Che si debba ribadire l’importanza che la filosofia sia anche pratica costituisce solo una reazione al suo allontanarsi da una delle sue vocazioni più originarie.

Sin dalla sua nascita i sapienti filosofi vivevano la loro filosofia, nel senso che la loro filosofia si incarnava nei loro atteggiamenti, nei loro comportamenti, nelle loro azioni oltreché nei loro pensieri.

Vivere la filosofia come pratica, oggi, significa riscoprire quel tipo di atteggiamento, spingendo la filosofia anche fuori delle università, ove spesso si occupa esclusivamente di studi e tecnicismi puramente autoreferenziali.

Del resto una filosofia che ritenesse di potersi disinteressare della pratica sarebbe un po’ come chi si ponesse come obiettivo il sapere senza poi voler far derivare nulla da quel medesimo sapere.

Amante del sapere, e quindi filosofo, è colui che ama anche l’aspetto generativo del sapere e cioè il suo connettersi anche al fare, all’agire.

 

Primo punto programmatico

Date queste premesse, fissiamo quindi un primo punto programmatico del nostro manifesto ovvero la necessità di un’azione volta al recupero della centralità della filosofia, in ragione delle caratteristiche generali di questa peculiare disposizione verso il sapere.

Parliamo di recupero perché nel mondo occidentale la filosofia aveva una sua centralità che tuttavia ha perduto. Tradizionalmente alla ricerca di una verità assoluta, la filosofia occidentale è stata soppiantata dalla scienza e non sembra aver più meritato né ancora meritare la centralità da noi auspicata. Da questo punto di vista la filosofia sembra aver fallito il suo scopo. Ma perché non dovremmo quindi ora affidarci solo alla scienza? Il problema è che la scienza, così come attualmente concepita, ha un ambito di ricerca metodologicamente più limitato rispetto a quello proprio della filosofia e non può, essendo al di fuori dei suoi scopi, rispondere alle domande a cui la filosofia cercava tradizionalmente di rispondere e che, nonostante i fallimenti della filosofia stessa, continuano a presentarsi provenendo da una profonda e insopprimibile esigenza di senso.

In epoca moderna è avvenuto una sorta di passaggio di testimone dalla filosofia alla scienza che meglio ha saputo declinare quella spinta verso una verità pubblica e condivisa che pure era sin dall’inizio insita nella filosofia stessa. Ciò se, da un lato, ha portato alle conquiste scientifiche e tecnologiche di cui siamo testimoni, dall’altro ha tolto forza e autorevolezza alla ricerca di verità condivise anche in ambiti diversi da quelli che la scienza odierna ritiene come i suoi possibili oggetti di ricerca. A ciò si è unita poi un’incapacità della filosofia di sondare nuove possibilità, di sviluppare il suo compito oltre i suoi fallimenti, di uscire da quella percepita astrattezza e lontananza che fa parte ormai dell’immagine diffusa della  filosofia.

Secondo punto programmatico

La storia ci insegna, quindi, che il primo punto programmatico, per quanto strategicamente importante, non garantisce, da solo, che l’obiettivo venga raggiunto. È necessario un passaggio successivo. È necessario, ed è questo il secondo punto programmatico della nostra proposta, che la filosofia assuma le vesti di una qualche filosofia determinata che, partendo dalle caratteristiche di fondo della filosofia, cerchi di essere all’altezza della sua vocazione e delle sfide del mondo odierno.

È qui che il lavoro concreto dei filosofi si innesta ed è qui che la filosofia deve dimostrare concretamente le proprie capacità.

La filosofia ETID è la denominazione della filosofia da noi elaborata che risponde a questa esigenza. ETID è l’acronimo delle parole inglesi Existential Topology e In-finite Dynamics che sono l’equivalente in italiano di Topologia Esistenziale e Dinamica In-finita. Nella filosofia ETID la Dinamica in-finita denomina la visione più di carattere generale da cui la Topologia esistenziale consegue come declinazione di dettaglio, relativa ai singoli esistenti.

 

Vivere la pienezza dell’esistenza

La visione del mondo che ciascuno di noi ha e la visione del mondo che prevale collettivamente assumendo i caratteri di una cultura determinata, hanno un impatto molto significativo sulla psicologia, sui comportamenti, sulle azioni, sulla società, sul mondo in cui viviamo e che via via costruiamo.

Per questo motivo una visione del mondo errata potrebbe avere conseguenze fortemente negative sul nostro benessere psicologico e anche fisico e sulla qualità della nostra vita.

La cultura occidentale, ad esempio, ha visto prevalere, nei secoli, una visione deterministica della realtà che ha nutrito un individualismo spinto all’eccesso e che ha contribuito al diffondersi di quel senso di sradicamento così largamente percepito. Queste conseguenze negative non sono un caso, dato che la visione deterministica occidentale è una visione monca che non vede la natura costitutivamente relazionale di ogni individualità e dimentica quindi elementi essenziali dell’esistenza in generale e della nostra umanità in particolare.

Bisogna porsi quindi come obiettivo quello di costruire una visione del mondo e una cultura che  siano adeguate alle effettive dinamiche della realtà e del possibile, in modo tale da favorire una migliore armonizzazione tra credenza, esperienza e realtà e quindi porre le condizioni di un’esistenza migliore.

La filosofia ETID si pone come scopo quello di fornire un’immagine della realtà e del possibile e della loro dinamica che corrisponda a ciò che effettivamente emerge dalla nostra esperienza e che consenta all’uomo di raggiungere una più avanzata consapevolezza delle dimensioni che lo costituiscono. Tale consapevolezza risulta una premessa importante per provare a vivere nella pienezza dell’esistenza e per progettare collettivamente una società che la favorisca.

La filosofia ETID è l’ennesima proposta teorica che intende spiegare come stiano le cose?

Sì, lo è! E tuttavia si differenzia dalle precedenti proposte di pensiero perché  esce dall’alternativa classica tra verità relativa o soggettiva e verità assoluta inaugurando una strada diversa.  La filosofia ETID crede, infatti, che una verità comune che intendesse imporsi solo dall’esterno, come spesso hanno inteso fare le verità affermate dai filosofi nella tradizione occidentale, tradirebbe se stessa e crede invece che la verità comune debba poter essere messa alla prova ed eventualmente ritrovata da ciascuno a partire dalle proprie verità soggettive. L’obiettivo è lo sviluppo di un dialogo virtuoso tra verità soggettiva, verità comune o condivisa e verità oggettiva con un passo oltre ogni relativismo o realismo superficiali.

Terzo punto programmatico

Da qui emerge il terzo punto programmatico della filosofia ETID: diffondere un atteggiamento di ricerca che solleciti ciascuno a ritrovare ciò che per lui è più importante in modo da raggiungere più elevati e diffusi livelli di consapevolezza.

Sono tante le sollecitazioni, interne ed esterne, che spingono gli individui in varie direzioni, spesso tra loro contraddittorie. Analizzare ciò che a noi si impone è quindi il primo passo per cercare di mettere ordine in quelle sollecitazioni, capirle meglio, stabilirne le priorità, liberarsi di alcune e approfondirne altre. Il secondo passo è poi chiedersi quali siano le condizioni di possibilità di ciò che ci si impone e poi dell’imporsi in generale per capirne la struttura e coglierne l’essenziale, vale a dire ciò che è eventualmente sempre presente in ogni imporsi e in ogni accadere. Si tratterà poi di ritornare alle nostre verità soggettive legate alla nostra realtà storica e infine provare a connetterle con quelle più strutturali e generali.

La filosofia ETID è l’esito di una ricerca personale di questo tipo che se da un lato induce a pensare che la riconferma individuale di qualsiasi verità sia un passaggio necessario, dall’altro consente di scommettere, a ragion veduta, sulla possibilità che le verità individuali si ritrovino insieme in una verità a loro comune. La ricerca, infatti, partendo da un atteggiamento di attento ascolto delle dimensioni che ci costituiscono, scopre che le dinamiche coinvolte sono sia di carattere storico, vale a dire, sorte e sopraggiunte nel tempo, che atemporali ovvero strutturalmente stabili, pur nel continuo mutamento, in quanto legate ad elementi essenziali.

L’identificazione di ciò che è essenziale è l’esito di una ricerca che, partendo dall’esperienza più concreta e risalendo alle sue condizioni di possibilità trova alcuni punti fermi che consentono di costruire una visione d’insieme. Tale lavoro di ricerca è stato da noi esposto nel testo La dimora del viandante.

Il risultato più importante della ricerca è l’identificazione di una struttura essenziale che rimanda al rapporto necessario tra individualità e relazione, determinatezza e indeterminatezza, finito ed infinito, realtà e possibilità. Riconoscere la necessità di questi rapporti e approfondirne la conoscenza è un aspetto chiave del nostro possibile benessere essendo quest’ultimo strettamente correlato al livello di armonizzazione di questi rapporti.

Quarto punto programmatico

Da qui emerge il quarto punto programmatico della filosofia ETID vale a dire: diffondere una maggiore consapevolezza degli elementi essenziali e della loro dinamica.

Gli elementi essenziali sono: l’individualità, la relazione, l’insieme delle relazioni determinate, la relazione di finito ed infinito. Questi elementi si concostituiscono, cioè si costituiscono insieme, senza che l’uno abbia priorità sull’altro, all’interno di una struttura essenziale.

Il costruirsi dell’individualità nel suo relazionarsi ad altro implica che ogni determinatezza rimandi, in ultimo, ad un’indeterminatezza di fondo. L’altro che strutturalmente partecipa alla costruzione dell’individualità è, costitutivamente e nei termini più generali,  fuori portata, fuori da un possibile controllo, e quindi costitutivamente indeterminato. Potremmo dire che il finito è sempre con l’infinito. Questa compresenza può essere espressa nel linguaggio scritto con la parola in-finito, con il trattino ad indicare la differenza tra finito ed infinito ma anche l’indissolubilità del loro legame e la loro compresenza, il loro essere insieme.

Qui si trova il nodo profondo e paradossale della nostra esistenza: l’infinito è presente nel finito ma in qualche modo come un compito, come una tensione di fondo. Da qui l’eterno divenire e la dinamica. L’esistenza è necessariamente diveniente e in una dinamica che può essere denominata in-finita in senso proprio.

Il nodo paradossale tra finito ed infinito, che è lo stesso del rapporto sé e altro, pone il finito e l’infinito, il sé e l’altro in una compresenza ma anche ad una distanza insuperabile. Il paradosso ci tiene in bilico: siamo infinito senza esserlo, siamo l’altro senza esserlo. Vi è, quindi, una compresenza ma anche una mancanza, un’assenza di fondo che nutre il nostro desiderio: noi siamo desiderio e, nel profondo, siamo desiderio di infinito.

Perché siamo desiderio di infinito? Perche siamo, nel profondo, infinito posto a distanza da se stesso. Siamo in-finito. Potremmo definire divina questa dimensione infinita che è la più ampia possibile e che tiene insieme finito ed infinito, sé e altro.  Ma in noi esistenti questa dimensione sperimenta il paradosso e viene, in qualche modo, messa alla prova: noi siamo il divino messo alla prova dell’esistenza.

Una prova difficile, con innumerevoli incognite e pericoli, esposti come siamo alla nostra piccolezza e fragilità. La tensione di fondo, che non sembra poter trovare soddisfazione, rappresenta, in ogni caso, una spinta evolutiva stupefacente in quanto non da pace all’esistente che è spinto a sondare sempre nuove possibilità che possano liberarlo dal suo apparente destino di insoddisfazione e frustrazione continua del suo desiderio.

Nella sua relativamente breve storia l’uomo ha messo in campo varie strategie da un lato per gestire il divenire, dall’altro per trovare una qualche risposta alla tensione di fondo col problema che comporta, tensione peraltro per lo più nemmeno percepita. Molti afflati religiosi possono essere considerati un tentativo di risposta. Molti saggi, poi, in tutti i tempi hanno cercato di gestire le dinamiche del divenire potenziando le loro capacità interiori: gli stoici, ad esempio, parlavano di ápatheia o impassibilità o anche, come gli epicurei e gli scettici, di átarassia o imperturbabilità. Il Buddha, in oriente, insegnava il non attaccamento per cercare di togliere alla radice la possibilità stessa del dolore.

Oltre a queste strategie, volte a potenziare le risorse interiori, già nell’antichità si sviluppò un altro tipo di strategia che puntava sulla possibilità di modificare la realtà esterna per renderla più malleabile al desiderio umano. È stata questa la strada della scienza e della tecnica, tutt’oggi la strada più percorsa. Oggi si potrebbe anzi dire che le strategie messe in campo sembrano quelle più potenti: oltre alla scienza e alla tecnica, le ingenti risorse economiche e la centralità del denaro sembrano promettere una qualche risoluzione definitiva. Ma è un abbaglio e infatti le persone sono sempre più disorientate. Evidentemente serve anche altro.

La filosofia ETID non invita ad abbandonare nessuna delle strade sopra indicate ma semmai a  ragionare sui loro eventuali limiti e sui loro possibili eccessi, ad esempio l’eccesso di un’imperturbabilità che tenda a sopportare qualunque situazione e non si ponga la questione di intervenire sulla realtà per creare condizioni più adatte alla nostra esistenza, oppure l’eccesso legato ad aspettative irragionevoli riposte sulla scienza e la tecnica che non possono controllare la realtà in generale e che, comunque, aumentando la quota di artificialità incorporata nell’esistenza, introducono nella vita nuove incognite. Oppure l’eccesso di fedi solamente inculcate dall’esterno e non nutrite da adeguati livelli di ricerca e approfondimento personale.

È una questione di misura, di consapevolezza dei limiti.  La filosofia ETID si pone la questione della misura e dei limiti insieme a quella dell’apertura a nuove possibilità.

Si tratta di raggiungere un maggiore livello di consapevolezza, di risolvere il paradosso di cui parlavamo e di pervenire a una maggiore stabilizzazione della nostra identità. Si tratta, potremmo dire, di passare ad una nuova fase evolutiva. I tempi sembrano poter essere maturi per questo, sia per l’esperienza accumulata, che ha lasciato traccia di sé nell’opera di tantissimi uomini e donne che nei millenni hanno dato il loro inestimabile contributo, sia negli strumenti disponibili, a partire dal linguaggio che è stato ed è lo strumento principe per condividere saperi ed emozioni che via via possono avvicinarci alla meta.

Del resto la parola che si fece linguaggio e discorso ha un potere particolare: è una cosa del mondo che indica e parla del mondo e quindi anche potenzialmente di se stessa. Parla d’altro ma può anche parlare di sé. È questo movimento riflessivo che supportò lo sviluppo della coscienza e inaugurò un cammino  verso la consapevolezza che ancora oggi prosegue e che proseguirà anche in futuro. La filosofia, la poesia, così come molte altre forme di sapere, così come questo stesso manifesto sono espressione di questa peculiare potenza del linguaggio.

Ma come si risolve il paradosso? Semplicemente prendendone atto, così come si deve prendere atto di ciò che necessariamente è, e posizionandoci correttamente, liberandoci al contempo da vani deliri di onnipotenza che conseguono dall’ignorare chi in fondo siamo. La nostra situazione ci espone al dolore, è vero, alla delusione, alla frustrazione ma è la stessa che può portarci anche piacere, incanto, gioia.

Si tratta di divenire maestri della realtà e del possibile e cercare di rendere questo mondo più adatto a noi stessi.

Ogni cosa che esiste esprime ciò che è già accaduto, rimanda ad adattamenti che hanno avuto luogo, accordi in qualche modo presi, proviene da e va verso nel senso che si indirizza sulla base delle preferenze che si connettono alla sua configurazione. Ciò che esiste esprime un’inerzia e cioè un tendere verso che è strettamente correlato alla sua determinazione specifica. La nostra strutturazione fisica specifica ci indirizza, ad esempio, verso l’acqua, l’ossigeno e vari tipi di alimento. Non possiamo vivere senza respirare, bere, nutrirci. Questa nostra struttura implica che la nostra vita si organizzi per reperire e organizzare queste risorse necessarie ove fossero scarse. Ogni esistente agisce nell’ambiente e lo organizza in base alle proprie preferenze, agli andare verso correlati alla sua strutturazione specifica. Non vi è un’armonizzazione a priori dei vari andare-verso che quindi possono essere tra di loro contrapposti. Da qui il potenziale emergere del conflitto che è insito nella struttura della realtà e del possibile. Ma non tutti i conflitti sono necessari e vi è un ampio spazio per attività di armonizzazione.

L’uomo è una struttura complessa, costituita da molteplici sottostrutture ciascuna con i suoi specifici andare verso. Una scarsa conoscenza delle esigenze del nostro corpo e quindi una mancata cura di queste esigenze può implicare malattie e malesseri. Lo stesso dicasi per le esigenze di carattere psicologico o spirituale. Data la complessità della nostra configurazione è possibile che le nostre azioni conseguano dal prevalere di specifici andare verso a discapito di andare verso per noi più essenziali. È quindi possibile che la nostra azione possa essere in qualche modo contro noi stessi. Saggezza e interesse vogliono che si cerchi di conformare la nostra azione con ciò che per noi è più profondamente importante. L’analisi di ciò che è soggettivo ci porta alla consapevolezza che si debba distinguere tra  una verità di carattere strutturale e le verità di carattere storico-locale.

La mia ricerca mi porta a dire che sia possibile giungere a delle verità di carattere strutturale come esito di una ricerca sulle condizioni di possibilità di ogni evento e che tuttavia tali verità di carattere strutturale non siano sufficienti per la lettura di una situazione specifica che ha comunque sempre connotati storico-locali, non strutturali nel senso generale, determinanti per la lettura stessa.

A ciò si aggiunge la paradossalità, che è però insita nella cosa stessa, di verità identificate come generali e strutturali sempre e solo in un percorso storico-locale. Questa consapevolezza implica che la dinamica in-finita si colleghi a quella che potremmo chiamare Topologia esistenziale vale a dire uno studio ed analisi del posizionamento esistenziale delle varie realtà storico-locali.

È l’integrazione dell’analisi storico-locale della topologia esistenziale con un’analisi di carattere strutturale della più generale dinamica in-finita che può condurci ad un migliore armonizzazione delle tre tipologie di verità, soggettiva, condivisa ed oggettiva che è premessa per la costruzione di un mondo migliore.

Il terzo punto programmatico del manifesto che sollecita ciascuno a ritrovare ciò che per lui è più importante rimanda alla topologia esistenziale cioè in fondo ad un’analisi del nostro posizionamento nella nostra esistenza storica.

La verità circa gli elementi essenziali sarebbe insufficiente e monca qualora non si integrasse con le verità storico-locali così come anche queste sarebbero monche e non avrebbero profondità se non riuscissero a riconnettersi con quelle verità più generali.

Questo riconnettersi può consentire l’espressione della nostra identità più profonda, che è la nostra natura in-finita vale a dire al contempo finita ed infinita.

 

Quinto punto programmatico

E da qui giungiamo al quinto e ultimo punto programmatico della filosofia ETID: raggiunta la consapevolezza serve un’azione conseguente che miri ad armonizzare gli elementi essenziali tra loro e con la nostra realtà storico-locale e cerchi di costruire un mondo che sia più adatto a noi stessi.

Fare di questo mondo un mondo migliore è un’intenzione che c’è sempre stata e sempre ci sarà perché il dolore, la sofferenza che incontriamo in questa vita, colpisce e spinge alla riflessione e all’azione soprattutto quando pensiamo che il dolore e la sofferenza non siano sempre e in tutti i casi ineluttabili. E tuttavia le buone intenzioni non sono sufficienti: la storia è piena di azioni disastrose ammantate di buone intenzioni. Non è una nuova ingenua utopia che a noi interessa coltivare ma un realismo che sappia, al contempo, coltivare il possibile.

Perché quella che consideriamo realtà continua a mutare e accoglie in ogni momento nuove possibilità. Ciò che è attuale, e quindi anche noi stessi, indirizza ciò che viene, che però non è mai una semplice ripetizione. Ciò che è attuale inevitabilmente cambia. Cercare di costruire un mondo che sia più adatto a noi stessi significa usare il nostro potere per cercare di realizzare possibilità a noi più favorevoli.

Il nostro realismo tuttavia ci dice alcune cose:

  • creare un mondo in cui non vi sia sofferenza e dolore in assoluto è semplicemente impossibile perché sofferenza e dolore sono insiti nella struttura relazionale della realtà e strettamente correlati alla nostra determinatezza. Tuttavia è possibile lenire specifici dolori e la nostra situazione può essere migliorata.
  • Non si migliora la nostra situazione negando la nostra struttura relazionale ma semmai vivendola correttamente. La struttura relazionale e la nostra determinatezza fanno di noi esseri desideranti. La struttura del desiderio ha implicazioni specifiche con rischi specifici. Il desiderio mette in scena il nostro essere mancanti, il nostro essere a distanza, a partire dalla distanza dagli oggetti desiderati. Poiché il desiderio può farci sentire in balia di ciò che desideriamo, risulta spontaneo mettere in atto strategie per superare il disagio che questo può implicare.  Tuttavia il desiderio implica un rischio specifico: il suo eccedere oltre il possibile e oltre ogni sensatezza. E così si può giungere a desiderare di eliminare qualunque tipo di distanza. Ma cercare di eliminare la distanza significa eliminare lo stesso desiderio e in qualche modo noi stessi in quanto esseri desideranti. La distanza non va eliminata si deve semmai cercare di stare nella distanza nel modo corretto. L’eccessiva attrattiva del denaro, che pervade così massicciamente il mondo odierno, può collegarsi al disagio che la nostra natura desiderante può implicare, perché il denaro può sembrare promettere un superamento della distanza implicita nel desiderio essendo funzionale a portare a noi, tramite un acquisto, ciò che desideriamo e indipendentemente dal mutare del nostro desiderio. Ma al di là del fatto che non tutto è acquistabile, il denaro rischia di nascondere ciò che invece dovrebbe essere da noi posto in primo piano, vale a dire appunto la nostra natura desiderante, la nostra mancanza strutturale, il nostro essere essenzialmente a distanza. Nasconde il paradosso che, per il nostro benessere, deve invece essere posto in primo piano, vissuto e compreso. Lo stesso rischio emerge con la tecnologia che può stimolare miraggi di controllo totale. Né il denaro né la tecnologia debbono essere messi al bando, purché non si cada nella trappola che il nostro stesso desiderio tramite essi può creare.
  • La tensione verso il meglio può essere considerata come insita nel processo evolutivo che spinge verso una migliore armonizzazione di tutte le dimensioni strutturalmente essenziali e un tenere insieme più ampio. Questa tensione non implica, tuttavia, che il risultato sia scontato né che possa essere per sempre: qualunque costruzione determinata anche la più bella e armoniosa è sempre e solo un risultato necessariamente soggetto al decadimento e ha quindi bisogno di essere continuamente rinnovata. Il fatto che la tensione di fondo trovi un’adeguata espressione è affidato a noi e alle nostre capacità che sono messe alla prova giorno per giorno anche nei confronti di dinamiche storicamente determinate.
  • La nostra azione non è solo ed esclusivamente sacrificio non solo perché i premi, potenzialmente già in questa vita, possono ampiamente ripagare i nostri sforzi ma soprattutto perché in questa azione noi esprimiamo la nostra vera identità, la nostra libertà e la nostra possibile grandezza.
  • Dobbiamo prendere fino in fondo possesso del nostro potere che solo può emergere da una profonda comprensione di noi stessi. Diversamente diventiamo pupazzi, come spesso accade, in balia dei più disparati condizionamenti.
  • Agire per indirizzare il mondo è qualcosa che deve essere fatto con la massima cautela  indirizzando noi stessi e al contempo creando legami e collaborando con gli altri. L’obiettivo è creare un mondo comune che corrisponda ai desideri individuali, sulla base di una verità comune in cui possano confluire le verità individuali. La vera sfida non è imporre con la forza ma dimostrare, testimoniare, avendo fede. Avendo fede perché ciò che accade, per la struttura stessa della realtà e del possibile, non è solo in nostro potere. E tuttavia noi dobbiamo fare la nostra parte assumendoci le nostre responsabilità con la necessaria convinzione e costanza. Si tratta di tenere insieme noi stessi, con gli altri, con il nostro mondo ambiente e con la dimensione più ampia dell’infinito del possibile con tutta la capacità di ascolto, valutazione, decisione e azione di cui possiamo essere capaci.
  • Dobbiamo chiamare a raccolta tutte le nostre energie e i nostri saperi a partire dai saperi incarnati nel corpo e nel mondo ambiente strutturatisi nel corso di miliardi di anni.

Quindi la filosofia ETID, nelle sue espressioni di dinamica in-finita e topologia esistenziale, è vicina al corpo e al mondo ambiente. È vicina alla scienza che anela ad un vero sapere, è vicina all’arte che, come essa, si nutre della dimensione del possibile, è vicina alla religiosità che cerchi di essere all’altezza della propria vocazione. La filosofia ETID è vicina ai singoli individui chiamati ad esprimere la loro reale e non retorica unicità. Vuole essere lì dove sta l’essenza dell’amore che è essere uno con l’altro pur essendo in una relazione e in una distanza insuperabili.

Armonizzare gli elementi necessari nel quadro della struttura essenziale e con le situazioni storico-locali significa consentire ad essi di esprimersi tenendoli tutti insieme e significa al contempo lavorare per il nostro più profondo benessere.

Come declinare tutto ciò nella vita di tutti i giorni e nei nostri contesti specifici è la sfida che ci attende ed è il punto centrale del nostro essere messi alla prova: tenere presente, assieme alla nostra finitezza e alle nostre storie specifiche, la struttura essenziale che include la dimensione infinita e cercare di agire di conseguenza.

Che questo progetto sia reso manifesto è essenziale alla buona riuscita del progetto stesso in quanto esso richiede un lavoro congiunto e continuo in primo luogo per acquisire una sempre maggiore e più radicata consapevolezza che sia in grado, poi, di guidare in modo più sicuro la nostra azione.

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Manifesto della filosofia ETID di Agosta Eugenio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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